Quello del dovere di mantenimento dei figli sta diventando un argomento sempre più rilevante tanto nella pratica quanto per la giurisprudenza che si trova, con maggior frequenza, di fronte a realtà separative, in cui risulta esserci un figlio di età superiore ai 18 anni non economicamente autosufficiente.
E’ bene innanzitutto ricordare che il dovere al mantenimento dei figli maggiorenni è sancito, in primis, dall'art. 30 della Costituzione e dagli art. 147 e ss. c.c. che impongono ad ambedue i genitori l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non prevedendo alcuna cessazione ipso facto per via del raggiungimento della maggiore età.
In una famiglia unita ove i genitori venissero meno al loro dovere di mantenere i figli la norma generale di cui all'art. 316-bis c.c. attribuisce al maggiorenne l'accesso alle procedure giudiziarie previste dalla legge per l'adempimento dell'obbligazione di mantenimento.
Quando però l'unione tra i genitori è finita (e sono questi i casi che tengono per lo più occupata la giurisprudenza) l'obbligo di mantenimento, nello specifico del maggiorenne, è sancito dall'art. 337-septies, introdotto dal D.lgs 154/2013, che stabilisce che il giudice può disporre in favore dei figli non economicamente indipendenti un assegno periodico.
Diverse però sono in questo senso le questioni da affrontare.
L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO AL FIGLIO FUORI SEDE. E’ POSSIBILE IL VERSAMENTO DIRETTO?
Per poter dare una risposta corretta, seppur concisa, a questo quesito occorre analizzare il concetto di “convivenza” poiché vede, in giurisprudenza, opporsi due orientamenti; il primo che associa la convivenza alla stabile dimora del figlio presso uno dei genitori con eventuali sporadici spostamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi , della ipotesi di saltuario ritorno presso l’abitazione familiare per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di ospitalità, con conseguente esclusione del diritto del genitore ospitante all’assegnazione della casa coniugale in assenza di titolo di godimento della stessa, a prescindere dalla mancanza di autosufficienza economica del figlio, idonea, se mai, ad incidere solo sull’obbligo di mantenimento; il secondo orientamento, al contrario, affermato dalla sentenza della Suprema Corte n. 11320 del 2005 e riconfermato da altre due pronunce del 2012 (Cass. n. 4555/12 e 14348/12) e da una recentissima ordinanza del 2017 (Cass., sez. VI Civile – 1, ordinanza 19 maggio – 7 giugno 2017, n. 14241), in cui si sostiene il principio secondo il quale il padre è tenuto a corrispondere alla moglie l’assegno di mantenimento per i figli anche qualora costoro siano già maggiorenni, se pur essendo studenti universitari fuori sede fanno spesso rientro nella casa che condividono con la madre.
Per i giudici, infatti, la circostanza che la prole non conviva con il genitore per frequentare i corsi universitari in un’altra città, ma si rechi nella residenza familiare non appena possibile, non porta ad escludere il requisito della convivenza. La ragione è che, secondo i giudici, permane comunque il collegamento stabile con l’abitazione del genitore.
In tal caso, infatti, la coabitazione può non essere quotidiana, essendo tale concetto compatibile con l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché egli vi faccia ritorno regolarmente appena possibile.
Su questo punto l’introduzione dell’art. 155 quinquies c.c. (L. n. 54/2006 c.d. Legge sull’affido condiviso), aveva creato non pochi problemi. Il legislatore aveva previsto, infatti, che l’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non economicamente indipendente fosse versato direttamente all’avente diritto, il che aveva creato non poche difficoltà soprattutto per il genitore collocatario, ma la questione è stata definitivamente risolta nel 2014, con l’abrogazione dell’art. 155 quinquies c.c. (con D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154). In tal modo è stato fugato ogni dubbio sulla questione, escludendo la possibilità che il genitore obbligato al mantenimento possa automaticamente, al compimento del diciottesimo anno di età del figlio, iniziare a versare l’assegno direttamente allo stesso. Pertanto, attualmente solo il figlio maggiorenne può, ove lo desideri e su sola sua istanza, chiedere al Giudice di disporre il versamento diretto a sé del proprio mantenimento.
In merito si segnala una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, sentenza n. 12391 del 17 maggio 2017 in cui viene ribadito il principio per cui il genitore obbligato deve continuare a versare l'assegno di mantenimento all'altro genitore se il figlio maggiorenne non avanza specifica domanda di versamento diretto.
COSA SUCCEDE IL FIGLIO MAGGIORENNE TORNA AD ESSERE ECONOMICAMENTE NON AUTOSUFFICIENTE?
Lo chiarisce la sentenza n° 12063 del 16/05/2017, con cui la S.C. è stata chiamata a decidere un caso in cui il figlio di una coppia di coniugi, ormai divorziati, era ritornato a vivere con la madre, costretto a fare tale scelta a seguito di un licenziamento che lo aveva reso disoccupato. Di qui, la decisione della madre di chiedere un contributo all’ex coniuge, padre del ragazzo, per il mantenimento di quest’ultimo. Ma gli Ermellini hanno espresso parere contrario, considerando irrilevante il fatto che il figlio sia tornato ad essere economicamente dipendente, dopo aver perduto il posto di lavoro.
Tale conclusione è ricavabile, dice la Cassazione, alla luce del seguente principio: “il diritto del coniuge separato (o in questo caso dell’ex coniuge), di ottenere dall’altro coniuge, o ex coniuge, un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente, è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare una attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento (se previsto) ad opera del genitore. Né assume rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori, come nella specie il licenziamento, le quali non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno”.
In questo senso, non vi sarebbe spazio per quei figli del tutto indolenti che preferiscono fare i c.d. fannulloni, noncuranti di attivarsi per non gravare ancora sui genitori ( Cass. 02/04/2013 n° 7970).
Per concludere, è bene sottolineare però che l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni può ritenersi cessato quando sia fornita la prova (incombente sul genitore onerato) che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, o è stato posto nelle condizioni concrete per conseguirla, ovvero che il mancato svolgimento di una attività lavorativa dipende da un atteggiamento del figlio colposo od inerte. Il raggiungimento dell’indipendenza economica non coincide con l’instaurazione effettiva di un rapporto di lavoro giuridicamente stabile, ma con il verificarsi di una situazione tale che fa ragionevolmente dedurne l’acquisto, anche se per licenziamento, dimissioni od altra causa tale rapporto venga meno”(in applicazione di detto principio la S.C. con la sentenza n. 21773/2008, ha accolto il ricorso di un padre che chiedeva la revoca dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne, atteso che quest’ultimo era stato assunto, seppur in prova, presso una compagnia aerea).
Avv. Desirée Giudetti
da http://www.avvocatifamigliaeminori.it/l-assegno-mantenimento-al-figlio-maggiorenne/
Comments